1)Sull’ultimo numero del Bollettino Medico della Nuova Zelanda (New Zealand Medical Journal. NZMJ 19.5.2006, Vol.119 N. 1234), paese in cui, per motivi non del tutto chiari, l’asma è molto diffusa, (si calcola che una persona ogni sei ne sia colpita) sono stati pubblicati i risultati di una sperimentazione effettuata con il metodo di respirazione Buteyko presso l’ospedale di Gisborne su 26 bambinni asmatici, di un’età dai 7 ai 16 anni, che soffrivano di asma da almeno 6 mesi.

La sperimentazione, considerata imperfetta da un punto di vista clinico perché non effettuata in doppio cieco (i bambini sono tuttavia meno sensibili degli adulti all’effetto placebo), ha consentito di accertare che, 3 mesi dopo l’istruzione Buteyko (effettuata in 5 sessioni di un’ora in 5 giorni consecutivi) si era ottenuta una riduzione media del 66% nell’uso dei broncodilatatori., e del 41% nell’uso di cortisone. La conclusione dello studio è stata che i buoni risultati ottenuti consiglierebbero ulteriori sperimentazioni, in doppio cieco e su più larga scala. Nello studio sono peraltro menzionati anche i risultati favorevoli ottenuti in precedenti sperimentazioni su adulti, in doppio cieco, che hanno dimostrato riduzioni nell’uso di broncodilatatori che vanno dal 95% (Brisbane) al 100% (Nottingham).

Osservo a questo proposito che i risultati di quest’ultimo studio sarebbero stati ancor più favorevoli se, dopo l’insegnamento iniziale del metodo Buteyko, consistente in un’ora al giorno per 5 giorni, un istruttore avesse potuto controllare ogni tanto, nei tre mesi successivi, se i bambini avessero assimilato bene il metodo e lo stessero applicando correttamente.
2) L’articolo sul metodo Buteyko scritto dagli istruttori Neozelandesi Jennifer e Russell Stark, pubblicato anche in italiano sull’ultimo numero del periodico Nexus, ha sollevato molto interesse, a giudicare dal numero di telefonate con richieste di informazioni e chiarimenti arrivate a me e ad altri istruttori. Chi non l’abbia ancora letto può ancora trovare in edicola l’edizione aprile/maggio di Nexus.
3) Anche se non sono contraria per principio all’uso degli antibiotici (in alcuni casi sono purtroppo il male minore, ed inevitabili), trovo preoccupanti le notizie che si stanno diffondendo sull’antibiotico telitromicina, messo recentemente sul mercato con il nome di Ketek dalla Sanofi-Aventis e molto usato in particolare per l’asma, infezioni dell’apparato respiratorio, tonsilliti e sinusiti. Uno studio clinico in doppio cieco, finanziato dalla ditta produttrice, ha infatti dimostrato , nel gruppo di asmatici trattati con questo antibiotico, un miglioramento nei sintomi dell’asma pari al doppio rispetto al gruppo placebo. Ciò che tuttavia non è stato messo in evidenza è il fatto che i pazienti hanno anche sofferto di forti episodi di nausea e che nei confronti di questo antibiotico sono stati ritenuti opportuni ulteriori accertamenti, dati i sospetti che possa provocare consistenti danni al fegato.
Sempre a proposito dell’uso di antibiotici anche nei casi in cui non sarebbero indispensabili, vale la pena di riportare una notizia riguardante una ricerca effettuata in Canada: ricercatori della University of British Columbia, Vancouver, mettendo insieme i dati riguardanti 8 studi, per un totale di oltre 12.000 bambini, hanno constatato che i bambini ai quali era stato somministrato un antibiotico nel primo anno di vita si erano in seguito ammalati d’asma in una proporzione quasi tripla rispetto ai bambini che avevano trascorso il primo anno di vita senza antibiotici. Ovviamente è tutt’altro che sicuro che sia stato l’antibiotico a provocare l’asma, perché è possibile che i bambini che avevano assunto antibiotici vi erano stati costretti appunto perché avevano già in partenza un apparato respiratorio più vulnerabile, ma varrebbe indubbiamente la pena di effettuare ulteriori approfondimenti.
4) Riporto qui una notizia interessante apparsa su un notiziario riguardante le cellule staminali ( staminali.aduc.it/php_newsshow_0_4086.html) : “Il cuore soffre una mancanza di ossigeno? Le staminali si fanno in… cinque. Di tanto e’ infatti aumentata in un uomo di 44 anni, dopo un trekking sull’Himalayala, popolazione di ‘progenitori endoteliali circolanti’ (EPCs), cioe’ cellule staminali adulte deputate alla costruzione di vasi sanguigni. Lo dimostra uno studio dei ricercatori dell’Istituto di Medicina Cardiovascolare, del Dipartimento di Ematologia e della Cell Factory Franco Calori del Policlinico di Milano.
Un metro e 75 di altezza, 74 Kg, non fumatore e senza disturbi cardiaci o polmonari: queste le caratteristiche del soggetto osservato dalle équipe dell’ospedale milanese prima, durante e fino a 45 giorni dopo un’escursione sul ‘tetto del mondo’, sulle orme di Ardito Desio.
Esito dell’osservazione: la carenza di ossigeno in situazione di bassa pressione atmosferica (ipossia ipobarica) e di un’alta richiesta di ossigeno dovuta all’esercizio fisico, a quell’altitudine (intorno ai 5000 metri di quota) sono forti stimoli per l’attivazione clonogenica (che da’ luogo cioe’ a una colonia di cellule geneticamente identiche tra loro e alla cellula originale) delle staminali adulte dei vasi sanguigni, le quali aumentano anche di cinque volte.
Si tratta di una ricerca condotta dal gruppo di Michele Ciulla -ha commentato Paolo Rebulla, direttore del Centro Trasfusionale Policlinico di Milano- che suggerisce interessanti conclusioni: fa pensare, cioe’, che l’organismo, andando in deficit di ossigeno, possa innescare un meccanismo riparatore mandando in circolo progenitori endoteliali. Quasi cercando di costruirsi altre strade, altri vasi per favorire la circolazione di ossigeno. “E’ solo un ragionamento ipotetico -ha affermato l’ematologo- ma puo’ suggerire vie di ricerca” per trovare soluzioni alle situazioni di usura dei vasi sanguigni”.
Questa notizia è un’ulteriore dimostrazione di quanto ci sia ancora da chiarire in questo campo, e di quanto sia semplicistico il ragionamento del “più ossigeno si introduce riempiendo i polmoni d’aria, meglio è”.

 

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