Nel Notiziario dello scorso aprile avevo osservato che Il numero delle persone che soffrono di stanchezza cronica è in rapida crescita da oltre un decennio, che spesso i vari test diagnostici effettuati danno dei parametri normali e non si riesce quindi ad identificare la causa del problema, ed avevo accennato ad alcune possibili cause e rimedi.
Spesso peraltro chi soffre di stanchezza cronica soffre anche di fibromialgia (e cioè di dolori diffusi, rigidità ed altro). Ciò induce a pensare che vi sia una causa comune che provoca entrambi i problemi.
Tra i possibili fattori collegati alla stanchezza cronica che avevo menzionato nello scorso Notiziario vi era innanzitutto il modo sbagliato di respirare (iperventilazione, che provoca una mancanza di energia in tutto il corpo),l’alimentazione sbagliata, le tossine diffusissime nell’ambiente, la disidratazione, e vari fattori tra cui l’aspetto psicologico-emotivo che verrà approfondito nel corso che terrò a Milano l’8 luglio prossimo insieme al Prof. Ongaro (ved. sotto) sull’approccio psicosomatico per vari problemi , con particolare riguardo alla respirazione ma non solo. Tra questi vari fattori l’aspetto psicologico, di notevole importanza per stanchezza cronica, stress, ansia , depressione ed altro, è di importanza minore per i dolori in caso di fibromialgia; quando infatti si percepisce continuamente un dolore intenso, allora la depressione e l’ansia, anche se hanno contribuito ( a seguito di iperventilazione ed altro) a far iniziare la fibromialgia, una volta che i dolori sono iniiziati allora la depressione, e stress, più che una causa sono una conseguenza del dolore percepito.
Per la fibromialgia assume invece un’importanza ancora maggiore l’altro fattore causale citato in relazione alla stanchezza cronica, e cioè quello relativo all’’alimentazione carente delle necessarie sostanze nutritive e l’intossicazione causata dalle sostanze dannose in continuo aumento nel nostro ambiente inquinato, tra cui i metalli tossici (ved. sull’argomento anche il mio libro su “La Terapia Chelante” (ved. www.macrolibrarsi.it/libri/__la-terapia-chelante-libro.php) ed il mio recente articolo su Scienza e Conoscenza (ved. www.scienzaeconoscenza.it/prodotti/scienza-e-conoscenza-n-62 ) . Ed a questo proposito occorrerebbe per la fibromialgia prendere in esame in particolare uno di quei metalli che, come osservato anche nel mio libro sono, nelle giuste quantità vitali ed indispensabili ma che se in eccesso sono dannosi e tra questi, in relazione alla fibromialgia, in particolare il rame.
–Ruolo del rame nella fibromialgia (e non solo!)
I sintomi principali della fibromialgia sono costituiti da dolori ,diffusi in varie parti del corpo e, appunto, da una costante stanchezza e mancanza di energia. A ciò si possono aggiungere vari altri problemi, come ansia e depressione, insonnia, rigidità degli arti, mancanza di equilibrio, problemi gastrointestinali ed altri. Questa molteplicità di sintomi vari rende appunto difficile riuscire a diagnosticare la fibromialgia come causa dei disturbi presenti. Un aiuto può peraltro venire dall’analisi della presenza del rame (in eccesso/carenza/assimilazione disturbata) nel corpo. L’agomento è complesso e vi sono ancora opinioni ed ipotesi divergenti ma cerco qui di esporre brevemente alcuni dati .
Il problema maggiormente conosciuto e studiato in relazione al rame è costituito dal morbo di Wilson; si tratta di una malattia causata da una mutazione genetica-ereditaria che porta all’accumulo di quantità eccessive di rame nel fegato, nel cervello ed in altri organi vitali. Questa mutazione infatti altera il funzionamento della ceruloplasmina, una proteina sintetizzata soprattutto nel fegato che trasporta il rame nel sangue e li redistribuisce. Se, come nel morbo di Wilson, le quantità di ceruloplasmina sono assenti/ridotte, allora il rame introdotto nell’organismo si accumula inizialmente nel fegato e poi in altri organi. (cervello, reni ed altri). Il morbo di Wilson è peraltro relativamente raro e, se diagnosticato precocemente e trattato vita natural durante, consente una vita normale.
Purtroppo però viene spesso diagnosticato quando molti danni si sono già prodotti , anche perché i suoi sintomi vengono spesso confusi con quelli di altre malattie . Variano infatti a seconda dell’organo più danneggiato, a seconda del quale possono comparire dolore alle articolazioni, fatica, tremori , nausea, depressione, difficoltà a coordinare i movimenti o a parlare, deglutire o camminare, ittero.
Un’ altra difficoltà diagnostica, come scrivevo nel mio sopracitato articolo sulla terapia chelante consiste nel fatto che se si misura il livello di rame nel sangue (nel siero), allora non raramente, a causa di complessi meccanismi legati alla ceruloplasmina, si riscontrano bassi livelli di rame (e magari si ricorre ad integratori con rame!) Come si legge in uno studio condotto presso la celebre Mayo Clinic , nel morbo di Wilson vi è in genere un basso livello di rame nel siero, ma a volte in soggetti con un basso livello di rame nel siero si riscontra un accumulo tossico di rame depositato nei tessuti di vari organi. Il morbo di Wilson è peraltro una malattia piuttosto rara mentre, come si sta scoprendo, sono piuttosto frequanti, e purtroppo spesso ignorati, i problemi causati da una presenza o assimilazione non ottimale del rame.
Vediamo innanzitutto i problemi causati da un insufficiente apporto di rame nell’organismo. In realtà si tratta di casi non molto frequenti. Il rame è infatti ubiquitario; a parte gli alimenti ricchi di rame (fegato, carne, pesci e frutti di mare, funghi, soia, cioccolata, noci, avocado ed altri, che non sono certo da evitare ma è bene cercare di non assumerne troppo tuttii insieme) lo troviamo come residuo degli antiparassitari a base di rame (che ha notevoli proprietà funghicide) usati per varie piante come ad es. le viti, irrorate con solfato di rame. E’ presente inoltre in elevate quantità nelle pillole anticoncezionali e nelle spirali contraccettive in cui è presente una sottile spirale di rame poiché la presenza del rame svolge un’azione tipicamente spermicida.
E’ presente inoltre nell’acqua rilasciata dai rubinetti nelle case che hanno delle tubature di rame, ed in alimenti cucinati in pentole di rame.
In molti casi, per evitare/attenuare i danni causati dalla tossicità di un eccesso di rame è sufficiente cercare di ridurre/eliminare gli alimenti ed altre sostanze molto ricche di rame, fare attenzione a non assumere integratori contenenti, tra le varie altre sostanze, anche rame ed assumere invece alimenti ed integratori con zinco, che svolge un’azione antagonista rispetto al rame.
Vi sono tuttavia casi più complessi e difficili da risolvere, sui quali si sta attualmente concentrando l’attenzione. Si tratta di casi in cui, pur non essendo presente la mutazione genetica propria del morbo di Wilson, si è comunque in presenza, per cause non ancor ben accertate, di una disfunzione nel metabolismo del rame, per cui il rame si accumula in eccesso nel fegato e cervello e non passa a sufficienza nel sangue per apportare ai vari organi le quantità di rame dei cui effetti benefici vi sarebbe bisogno.
Ci si trova in questi casi in presenza di una situazione paradossale in cui si soffre degli effetti sia di un eccesso tossico che di una carenza degli effetti benefici del rame . In questi casi si riesce a riequilibrare la situazione accertando, con vari test, non solo la situazione della ceruloplasmina ( in vari casi le ghiandole surrenali, stressate ed indebolite non riescono a segnalare al fegato la necessità di produrre ceruloplasmina in quantità sufficiente) ma anche l’eventuale presenza di rapporti squilibrati tra il rame ed altri elementi. Innanzitutto con lo zinco, ma non solo: occorre esaminare le quantità ed i rapporti reciproci tra molti elementi tra cui soprattutto ferro, calcio, magnesio, le vitamine liposolubili, la situazione dell’istamina ed altro. Non mi è quindi possibile esporre consigli generali poiché occorre esaminare ogni caso individualmente per cercare di prescrivere i test e le misure più appropriate.
L’importanza del giusto rapporto tra i vari minerali ed altre sostanze che, nella forma adeguata, devono essere presenti nel nostro organismo
Durante la formazione in medicina ortomolecolare che ho completato in Germania ho potuto approfondire da una parte come le moderne pratiche di coltivazione ed altri fattori abbiano portato ad un grande impoverimento della presenza , in particolare di minerali, nei terreni agricoli e quindi negli alimenti che crescono su questi terreni, e dall’altra pertanto l’opportunità di assumere integratori, che tuttavia dovrebbero essere assunti solo nella forma e dosaggio adeguati.
Infatti le vitamine, e soprattutto i minerali assunti in forma isolata ed in un dosaggio elevato (e cioè in un modo non esistente negli alimenti naturali), hanno un effetto analogo a quello dei farmaci. Non vanno quindi presi in base ad un approccio “fai da te.” Mentre non è in genere nocivo (salvo i casi di chi già soffre di intolleranze specifiche) prendere integratori a base di alimenti che per natura sono particolarmente ricchi di vitamine/minerali/enzimi , e cioè a base di “superfoods”/“cibi super” (-i “superfoods” -tra cui per es. polline, varie alghe, bacche e molti altri- contengono infatti la necessaria varietà di sostanze magari anche ad effetto contrario l’una dall’altra e pertanto non provocano squilibri; “l’intero è meglio della parte”-) è invece sbagliato assumere a casaccio pasticche con vitamine e minerali in dosaggi elevati che non si trovano negli alimenti, in forma non mirata e in base al principio del “tanto più tanto meglio” e pensando che “tanto non può far male”.
Nulla di più sbagliato. A parte il fatto che, se non assunte a regola d’arte, non fanno nemmeno bene, e magari non si assumono, tra le innumerevoli sostanze prese in grande quantità con i vari integratori, quelle due-tre sostanze di cui si avrebbe maggiormente bisogno , è importante tenere presente che, nei dosaggi elevati necessari per ottenere un effetto terapeutico in chi ha problemi di salute, vitamine e minerali assunti in modo inappropriato possono far male ed aggravare la situazione.
Abbiamo visto sopra l’esempio del rame. Per fare solo alcun altri esempi: dosi elevate di vitamina E possono aumentare l’effetto di farmaci anticoagulanti; il folato (forma di vit. B) può interferire con l’effetto di alcuni medicinali. Dosi molto elevate di Vitamina C, raccomandabili per certe malattie, portano a perdite di determinate vitamine B che andrebbero quindi somministrate contemporaneamente, nonché ad accumuli di ferro (utili magari in chi soffre di anemia ma dannosi in chi soffre di emocromatosi -eccesso di ferro) e così via.
Una particolare cautela va adottata con i minerali ed in particolare con i metalli (ferro ed altri) che se in eccesso non vengono eliminati ma si depositano nell’organismo. Mentre gli eccessi di vitamine idrosolubili vengono eliminati con relativa facilità, l’eliminazione delle quantità in eccesso non è invece agevole per le vitamine liposolubili, ovvero le A, D, E e K . La vitamina A va assunta solo se i parametri epatici sono nella norma, e la Vitamina K può interferire con gli anticoagulanti. Quanto alla D non si tratta in realtà di una vitamina ma di una sostanza di natura ormonale e bisognerebbe cercare –anche se è difficile-. di assumerla nella sua forma naturale, (e cioè con l’esposizione al sole, ovvvamente con la tempistica giusta per evitare di scottarsi) che ha un effetto ben diverso dalle compresse a base di “vitamina” D sintetica.
Pertanto, la prescrizione di integratori con dosaggi elevati di vitamine/minerali deve costituire una terapia mirata. Ogni vitamina e minerale ha un ruolo ben definito nelle reazioni ed interazioni biochimiche nel nostro corpo; si tratta di sostanze che svolgono un ruolo fondamentale, letteralmente “vitale” e che devono quindi essere prescritte a seguito degli accertamenti diagnostici del caso.
Indubbiamente c’è ancora molto da ricercare sull’argomento. Ne riparleremo, ed intanto auguro a tutti i lettori delle vacanze serene, rilassanti e felici!